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Monti Monti / Via dei Capocci

Monti a luci rosse, dove le prostitute lavorano quando c'è il sole

C'è un quartiere di Roma in cui la legge Merlin non è mai entrata in vigore. È il rione Monti, dove le lucciole non si nascondono

Sono lì da sempre, da quando esiste l’Urbe, da quando Monti si chiamava Suburra. A osservarle le prostitute di via dei Capocci sembrano rievocare un’altra Roma, quella della lupanari ad esempio, oppure la mamma Roma degli anni cinquanta che non si vergognava di se stessa, di mostrarsi per quello che era. Oggi Roma è più pudica, per certi versi, più ipocrita per altri; ma se c’è un quartiere della Capitale che ha conservato quel carattere licenzioso dei tempi andati, ebbene quello è il rione Monti.

Qui le prostitute non indossano abiti scollacciati, niente minigonne o autoreggenti, ma non si nascondono; aspettano i loro clienti in strada e di solito consumano il rapporto in albergucci o pied-à-terre. C’è una maîtresse, ad esempio, mi dice un ragazzo della zona, che sta sempre davanti al suo palazzo, in via dei Capocci, e affitta camere a ore. La sua presenza è nota, ma tollerata. Secondo qualche articolo di un po’ di tempo fa, in passato è stata anche multata per sfruttamento della prostituzione. Eppure è ancora lì. Come le lucciole del resto, che continuano a bazzicare le strette viuzze del quartiere. Nonostante i controlli, sempre più frequenti, e la morsa della crisi.

Susanna (il nome è di fantasia), una brasiliana che ha già passato gli anta, ci conferma il momento difficile: “Guarda”, mi dice indicando la strada vuota, “non c’è nessuno, e i clienti vogliono pagare meno”. E poi ci sono i controlli di Carabinieri e Polizia. “Passano sempre più spesso – dice Susanna – a volte ci va male. Veniamo identificate e portate in commissariato. La multa è di 250 euro”.

Il gioco però deve valere la candela se è vero che Susanna, come tante altre, non ha alcuna intenzione di muoversi da Monti. Anche perché, ci conferma un signore del posto, altra particolarità delle prostitute monticiane è che hanno una clientela di aficionados, più o meno fissa: “Non so chi siano, forse vecchietti della zona, forse arrivano da fuori, ma di sicuro non è gente di passaggio. E poi – aggiunge – altra stranezza è che lavorano soprattutto di mattina. Iniziano alle dieci e mezza e vanno via nel tardo pomeriggio”.

Non sono poche le lucciole di Monti. Almeno una decina, si racconta nel quartiere. Alcune sostano in via Urbana, un’altra mezza dozzina tra via Panisperna e via Capocci. Poi c’è anche chi riceve a casa propria. Me lo rivela un ragazzo. “Ce n’è una anche nel mio condominio. Cosa fa lo sanno tutti. Quest’anno ha perfino attaccato un bigliettino sul portone del palazzo per avvisare i clienti che era in ferie”. A chi non vive qui può sembrare paradossale che in quartiere come Monti la situazione sia tutto sommato tollerata. “Un motivo può essere che i controlli sono difficili – dice un altro abitante del rione –. Si vestono in maniera normale ed è difficile riconoscerle o pizzicarle mentre adescano i clienti”.

Ad ogni modo tra prostitute e residenti non ci sono particolari tensioni, il rapporto non è conflittuale. Certo c’è anche chi chiede legalità e più controlli, ma niente a che vedere con la rabbia di chi convive con il degrado della prostituzione notturna. “Se non fai casini – conferma Susanna – qui nessuno ti dice nulla”. Forse sta proprio qui il segreto della secolare continuità della prostituzione nel rione, nella sostanziale naturalezza con cui viene esercitato il mestiere più antico del mondo, nell’ex suburra ben più antico che altrove.

Una continuità lunga secoli che neppure la legge Merlin ha saputo scalfire, né i vari giri di vite annunciati a ogni giro di boa hanno potuto debellare. E che forse dovrebbe suggerire qualche domanda alla politica.

 

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